Report: Parigi, 2 – 6 Febbraio.

Un mini filotto di due concerti a Parigi con il progetto Di.Scor.Danza all’ inizio di Febbraio mi ha fornito l’occasione per un soggiorno di sei giorni in cui riassaporare l’atmosfera sempre magica della capitale francese, la cui capacità evocativa ed il cui fascino sono ormai patrimonio imperituramente consolidato nell’ immaginario collettivo.

Mancavo da la Cité da un paio d’anni, probabilmente una distanza temporale che mi sento di quantificare come la massima oltre la quale non si dovrebbe mai protrarre l’assenza da questi luoghi così pregni di bellezza.

All’eccitazione datami dalla possibilità di poter disporre di sufficiente tempo libero per poter affiancare agli impegni lavorativi una gustosa attività da turista (affiancato da mia moglie Paola) si è inoltre unita la gioia del partecipare nuovamente al progetto Di.Scor.Danza, situazione musicale in cui ogni volta ho il grandissimo piacere di poter lavorare con la concertista Dora Cantella, di confrontare le reciproche metodiche di approccio alla musica e di affrontare autori sempre estremamente stimolanti, beneficiando della sua straordinaria energia e del suo talento.

Il primo dei due concerti ha avuto luogo in data 2 Febbraio presso il Conservatorio di Sèvres, comune del dipartimento dell’ Hauts-de-Seine nella regione dell’ Île-de-France, noto per la lavorazione della porcellana.

Per l’occasione, dopo un canonico inizio di concerto in cui Dora Cantella ed io abbiamo inscenato il nostro confronto fra esecuzione rigorosa ed improvvisazione su traccia tematica, nella seconda parte della scaletta il duo si è avvalso anche della incisiva partecipazione di Rita Marchesini, danzatrice di flamenco, musicista, musicologa e direttrice dell’accademia El Puerto Flamenco a Bologna.
La straordinaria comunicatività del gesto corporeo di Rita, unita alla sua  musicalità derivata dal fatto di essere anche una validissima clavicembalista, ha conferito una luce particolarissima ed uno spettro immaginifico ancora più ampio  al repertorio di Scarlatti (la cui parentela col flamenco in quanto eredità dei suoi anni di permanenza in terra spagnola, peraltro, è argomentata da svariati ed autorevoli musicologi).

Dal canto mio, alla visione del nome di Maurice Ravel sulla targa che reca l’intestazione dell’auditorium in cui ha avuto luogo il concerto, non ho potuto fare a meno di ripensare alla storia di questo immenso musicista francese ed alle vicende controverse (leggi: la storica querelle con Dubois) che inframezzarono la sua ascesa alla fama;  con le dovute differenziazioni che ovviamente impone il caso di un musicista di portata storica mondiale, non nascondo di aver in qualche modo tracciato un parallelo fra le sue tribolazioni ed il magma di atteggiamenti morali non sempre lineari ed esemplari (così lontani dalla materia musicale in sé) nel quale devono spesso muoversi gran parte di quelli che esercitano la splendida attività di musicista.

Il secondo concerto ha avuto invece luogo presso il maestoso palazzo sede dell’Académie Diplomatique Internationale, situato a pochi passi dal notissimo Arc de Triomphe, il 6 Febbraio (nelle foto: le prove).

In questa circostanza, il parterre di ospiti sul palco si è arricchito di rinomati musicisti, ciascuno dei quali ha conferito alla proposta artistica un colore unico ed intenso.
Marika Lombardi, innanzitutto, fenomenale oboista dalla pluriennale carriera concertistica che  negli ultimi tempi ama sempre più frequentare anche i territori dell’improvvisazione;  Gaetano Russo, illustre clarinettista dall’attività concertistica di caratura europea e direttore artistico della Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli;  e poi, ultimi ad essere citati ma soltanto in ordine di apparizione in scena, i fenomenali clarinettisti Flavia Feudi, Ange Sierakowsky e Laure Maudry:  giovanissimi ma già solidamente affermati nel circuito accademico e concertistico internazionale (Berlino, Parigi, Salisburgo), si sono uniti a Gaetano Russo (accomunati da un profondo legame anche affettivo, essendo stati tutti e tre in età adolescenziale suoi allievi) in una splendida esecuzione della Canonic Suite  di Elliot Carter (originariamente scritta per quartetto di sassofoni alti), una interpretazione mirabolante per la gestione dell’equilibrio sonoro delle parti e per l’intensità della paletta timbrica proposta.

Concludendo, anche stavolta ho emotivamente dato il mio simbolico arrivederci a Parigi, con la valigia ricolma della bellezza che i musicisti con cui ho collaborato e le persone del luogo mi hanno saputo donare.    Diversi di loro, alla fine di ognuno dei concerti, mi hanno avvicinato, domandomi come facessi ad improvvisare liberamente, quale fosse il sistema per creare dal nulla musica di una certa complessità.    Ho parlato loro della mia amata Italia, dei suoi incomparabili colori e profumi;  ho detto del mio legame con Napoli, che considero essere la mia nonna, e della mia viscerale e passionale appartenenza eterna alla terra di Bacoli, che è la mia madre, il mio sangue e le mie radici;  ed ho raccontato della mia famiglia, dei miei affetti e della straordinaria e tenera purezza degli animali.   In cuor mio, sono certo di aver risposto ad ogni loro domanda.

 

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